Il fascino dell' invisibile

Rivelatori a scintillazione

Quando la radiazione interagisce con atomi di un materiale scintillante, essa trasferisce loro tutta o parte della propria energia eccitandoli. Quando questi ritornano allo stato fondamentale, emettono per fluorescenza dei fotoni la maggior parte dei quali nello spettro del visibile e dell’ultravioletto. I passaggi base nella rivelazione a scintillazione sono:
  • interazione con il materiale scintillante;
  • trasferimento dell’energia al materiale;
  • passaggio dallo stato eccitato a quello fondamentale con emissione di un fotone di luce;
  • raccolta dei fotoni di scintillazione;
  • conversione dei fotoni luminosi in fotoelettroni;
  • moltiplicazione dei fotoelettroni;
  • raccolta del segnale in uscita tramite l’elettronica dedicata.
Questi rivelatori sono costituiti da due parti intimamente connesse, il cristallo scintillante, che può essere organico o inorganico, liquido o solido, e un fotomoltiplicatore o PMT. Nella raffigurazione sottostante uno schema dei blocchi che costituiscono questo sistema di rilevamento:
Il tubo fotomoltiplicatore comprende un fotocatodo, responsabile della conversione fotone-elettrone e strutture chiamate dinodi dove avviene la moltiplicazione. Il risultato sarà quindi una segnale di uscita con un’ampiezza sufficientemente elevata da essere facilmente misurato.
Caratteristiche dei materiali scintillanti
Esistono molti tipi di materiali scintillanti ma non tutti sono adatti ad essere usati nei rivelatori di radiazione. In generale, uno scintillatore deve soddisfare le seguenti caratteristiche:
  • una buona efficienza di scintillazione (cioè la capacità di convertire efficacemente l’energia rilasciata in luce di scintillazione);
  • un’alta efficienza di rivelazione;
  • un tempo caratteristico di emissione molto breve;
  • un indice di rifrazione prossimo a quello del vetro (quindi intorno a 1,5), che consenta un buon accoppiamento ottico con il fotomoltiplicatore;
  • una discreta resistenza alle sollecitazioni;
  • una buona lavorabilità del materiale;
  • trasparenza alla lunghezza d’onda della propria emissione, in modo da evitare il fenomeno dell’autoassorbimento ed aumentare quindi la raccolta dei fotoni di scintillazione;
  • linearità di risposta in un intervallo di energie sufficientemente ampio in modo che la quantità di luce prodotta risulti, quanto più possibile, proporzionale all’energia depositata nel materiale.
Principio di funzionamento
Gli scintillatori sono materiali isolanti aventi un elevato gap energetico fra la loro banda di valenza e quella di conduzione. All’interno di questo intervallo energetico è presente il centro di emissione  (luminescence center), che è generalmente composto di due livelli energetici aventi un ΔE simile a quello dei fotoni appartenenti  alla banda di frequenza della luce visibile. Ciò significa che quando un elettrone passa dal livello energetico superiore a quello inferiore del centro di luminescenza, può emettere un fotone di luce visibile. Questo però non è sempre certo: infatti l’elettrone potrebbe perdere la propria energia in modo diverso, come ad esempio in calore, attraverso urti con pononi (quanti divibrazione del reticolo cristallino rigido). Chiaramente, in questo caso, l’informazione relativa all’evento ionizzante verrà persa. Un elettrone di un cristallo puro, al quale venga comunicata energia sufficiente, può passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione attraverso la banda interdetta lasciandosi dietro una carica positiva, chiamata buca (hole). Entrambi, elettrone nella banda di conduzione e lacuna nella banda di valenza, saranno liberi di migrare nel materiale. L’elettrone nella banda di conduzione finirà, presto o tardi, col decadere ad un livello energetico al di sotto di quello della banda stessa. Se questo livello energetico corrisponde a quello del centro di luminescenza, l’elettrone decrementerà ulteriormente la sua energia, emettendo un quanto di luce o dissipando il suo surplus energetico in altro modo: questo fenomeno è detto fluorescenza. Infine l’elettrone ritornerà alla banda di valenza per ricombinarsi con la lacuna. L’elettrone nella banda di conduzione può avere anche un altro destino e saltare in una electron trap. Queste trappole rappresentano degli stati metastabili di energia formati da impurità o difetti (nel caso di scintillatori a cristallo). Un elettrone così intrappolato può rimanere in questo stato per un periodo di tempo molto variabile (da qualche ora a pochi nanosecondi) o in alternativa ritornare alla banda di conduzione dopo aver ricevuto energia o da agitazione termica o da un evento ionizzante. Da qui può nuovamente tornare al centro di emissione e causare una scintillazione. Questo meccanismo prende il nome di luce ritardata o fosforescenza. Ricapitolando quindi, il meccanismo di scintillazione può avvenire secondo due fenomeni, fluorescenza e fosforescenza, che hanno tempistiche diverse. Entrambi possono però essere descritti con una funzione di tipo esponenziale, il numero di fotoni emessi al tempo risulterà allora essere:
dove:
  • costante di decadimento componente veloce (fosforescenza);
  • costante di decadimento componente lenta (fluorescenza);
  • e costanti funzione del materiale scintillante.
Come si può intendere dal prossimo grafico, la componente veloce domina su quella lenta:
Esistono altri processi che avvengono in concomitanza con quelli descritti i quali producono luce di fondo o riducono l'efficienza di scintillazione e sono noti in generale col nome di quenching (smorzamento).
Resa luminosa del materiale scintillante
È forse il parametro più importante per qualsiasi materiale scintillante poiché se la luce emessa è molto bassa, si potrebbe avere un rapporto segnale-rumore inaccettabile. La resa luminosa viene espressa in fotoni per MeV di radiazione assorbita e normalmente si aggira su valori di 20.000-45.000. I parametri principali che influenzano la resa luminosa sono:
  • le caratteristiche del materiale scintillante;
  • il tipo delle particelle incidenti;
  • l’energia media delle particelle;
  • la temperatura.
Nell’immagine che segue sono mostrati alcuni cristalli di vari materiali (YAG:Ce, YAP:Ce, BGO, LuAG:Ce). La ricerca di una dimensione e di una geometria diversa è funzione dei diversi usi e applicazioni a cui sono destinati.
Scintillatori inorganici
La maggior parte degli scintillatori inorganici sono caratterizzati da una  struttura cristallina. I materiali scintillanti di tipo inorganico sono solitamente più densi di quelli organici e vengono quindi preferiti in situazioni in cui la radiazione da rilevare è alquanto energetica perché si ha una probabilità maggiore che quest’ultima interagisca con il materiale scintillante aumentando così la resa di rivelazione. Spesso i cristalli sono volutamente contaminati da altri materiali, questa drogatura aumenta la capacità di scintillazione. Se un elettrone viene intrappolato in uno dei livelli intermedi attivati dalle contaminazioni, esso può lasciarli, per passare ad un livello più basso, solo emettendo un fotone di scintillazione.

Ioduro di sodio attivato con tallio (NaI(Tl))
Questo cristallo alogenuro alcalino è uno dei materiali scintillatori più utilizzati, sia in medicina che nelle applicazioni fisiche ed ambientali, perché il suo alto peso atomico gli consente una buona efficienza nella rivelazione dei raggi gamma. Orientativamente  la migliore risoluzione energetica ottenibile con questo metodo è del 6-7% su fotoni di energia di 662keV. Le caratteristiche principali per il NaI(Tl) sono:
  • alta resa luminosa (41.000 fotoni per MeV);
  • emissione massima nella banda di frequenza della luce visibile (vicino al blu) che coincide con quella più performante per la maggior parte dei fotomoltiplicatori;
  • limitato fenomeno dell’autoassorbimento;
  • di facile disponibilità e di relativo basso costo di produzione rispetto ad altri materiali scintillanti;
  • possibilità di produrre cristalli di generose dimensioni.
Il problema principale relativo a questo materiale è la sua igroscopicità; infatti lo ioduro di sodiosubisce notevoli deterioramenti per assorbimento di acqua e per esposizione prolungata a condizioni atmosferiche avverse. Per questo i cristalli di NaI(Tl) devono essere sigillati  in contenitori stagni durante il funzionamento.
NaI(Tl) Bicron con cristallo da 5,08 x 5,08 cm
  
Tubo fotomoltiplicatore
Il tubo fotomoltiplicatore  (PMT = Photon Multiplier Tube) è una parte integrante di un sistema di detector a scintillazione. Esso è essenzialmente un amplificatore in grado di amplificare in tempi dell’ordine di  s un fattore di  o più. La struttura è quella di un cilindro con il fotocatodo all’ingresso e una serie di dinodi  al suo interno. Eccone una rappresentazione schematica:
L’anodo posizionato alla fine della serie di dinodi, serve come collettore di elettroni. I fotoni prodotti nello scintillatore entrano nel PMT ed impattano il fotocatodo, costituito da un materiale semiconduttore, tipicamente un composto di Cs ed Sb (cesio ed antimonio), che emette elettroni quando investito dalla luce. Essendo il fotocatodo caratterizzato da una sensibilità spettrale ben definita, limitata dalla soglia di fotoemissione per elevate lunghezze d'onda e dalla trasmissività della finestra a basse lunghezze d'onda, risulta chiaro che l’intero fotomoltiplicatore esibirà la sua massima sensibilità per una determinata λ dipendente dal materiale con cui è costruito il fotocatodo. Questa risulta essere una importante caratteristica dei PMT: ad esempio, per fotocatodi prodotti in Cs-Sb la sensibilità massima è a circa 440 ηm, in buon accordo con la luce prodotta dalla maggior parte dei materiali scintillanti. Gli elettroni dal fotocatodo sono guidati, attraverso un campo elettrico, al primo dinodo il quale li moltiplica. Essendo i dinodi tenuti ad una differenza di potenziale accelerante tramite un partitore di tensione, il processo di moltiplicazione si può ripete su dinodi successivi (i fotomoltiplicatori in commercio ne possiedono normalmente 10-15) fino ad arrivare al giusto grado di amplificazione. La forma concava dei dinodi riduce la possibilità che gli elettroni compiano percorsi differenti.
Fonti di disturbo nei fotomoltiplicatori
Un importante fenomeno che interessa i fotomoltiplicatori è rappresentato dalla così detta corrente oscura (dark current), formata tipicamente da elettroni emessi dopo l’assorbimento di energia termica. L’effetto dell’ emissione termoionica è una importante fonte di perturbazione nella misura; infatti un PMT del diametro di 50mm, che lavora a temperatura ambiente, può emettere qualcosa come  elettroni/s. Raffreddare il catodo limita l’agitazione termica e quindi il fenomeno della dark current di un fattore 2 per ogni 10-15 C° di riduzione della temperatura. Come detto, gli elettroni sono guidati attraverso i dinodi da un campo magnetico opportunamente modulato. Appare allora evidente che campi esterni (anche quello terrestre) possono essere una fonte di disturbo in quanto gli elettroni vengono deflessi dalla loro guida d’onda ottimale. L’influenza negativa dei campi esterni può essere minimizzata utilizzando delle schermature di materiali ad alta permeabilità magnetica come il μ-metal. Inoltre il PMT è molto sensibile alle vibrazioni meccaniche che potrebbero deviare gli elettroni dalla loro traiettoria ideale.

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