Il fascino dell' invisibile

Rivelatori a gas

Questi dispositivi sono stati tra i primi ad essere utilizzati per la rivelazione di particelle in quanto il passaggio di una radiazione attraverso un gas può ionizzarne direttamente le molecole. Il risultato di questa interazione, che può avvenire in modo diretto (particelle cariche) o indiretto (raggi γ, X, neutroni), è solitamente un impulso elettrico che può essere elaborato da un sistema elettronico. Un tipico rivelatore di questo tipo è costituito da un gas (molte volte nobile) posto all’ interno di in una camera fra un elettrodo positivo ed uno negativo. Questi elettrodi sono caratterizzati da una forte differenza di potenziale che va dal centinaio al migliaio di volt in funzione delle caratteristiche costruttive e del modo di operare dello strumento stesso. La creazione ed il movimento di coppie ione-elettrone dovute al passaggio delle radiazione nel gas perturba il campo elettrico producendo degli impulsi misurabili, che possono quindi dare informazioni sull’energia e/o sul numero degli eventi ionizzanti. La carica così creata è chiamata ionizzazione primaria per distinguerla dalla ionizzazione secondaria cioè quella prodotta indirettamente nel volume attivo della camera. Un concetto estremamente importante riferito all’energia necessaria per creare una coppia ione-elettrone, è definito il W-value. Esso dipende solo in parte da fattori quali la natura e l’energia della radiazione coinvolta o dal tipo di gas utilizzato e si aggira intorno a valori compresi tra  25-45 eV per coppia, quindi per una particella che deposita un’ energia ΔE all’interno del detector si può stabilire la quantità di coppie (N) prodotte secondo:
aa

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